Si risente giustamente chi, da credente, giudica l’elezione di questo nuovo papa qualcosa di molto più grande di una comune contesa politica. Calare Robert Francis Prevost nell’agone degli anti trumpiani sarebbe effettivamente riduttivo e immiserirebbe quello che è stato, a tutti gli effetti, un processo influenzato da un’enorme quantità di fattori. Eppure sembra impossibile scindere la scelta di questa nuovo pontefice dallo spirito del tempo che l’ha instradata.

La politica dei muri - l’opposto dei ponti ai quali Leone XIV si è richiamato - i migranti in catene schiavizzati e ostentati, l’abuso di dio come ispirazione (“Mi ha salvato per rendere grande l’America” fu la frase di Trump dopo essere scampato all’attentato), la teologia della prosperità approdata con un apposito ufficio evangelico alla Casa Bianca, il principio dell’”ordo amoris” enunciato dal vicepresidente Vance, secondo il quale devi amare solo chi ti è più vicino: tutto questo era talmente inviso a Francesco da aver chiesto ai cardinali americani di alzare la voce e opporre le loro diocesi alla crudeltà pianificata dalla nuova amministrazione americana. Cosa che Prevost aveva fatto, più volte.

Naturale dunque che, tra i fattori entrati in gioco in Conclave, vi sia stato anche il desiderio di contrapporre al trumpismo un’altra idea di America. Anzi, di Americhe. Perché qui c’è poi il nocciolo della questione: il papa dei ponti da ricostruire è l’uomo dei due mondi: viene da Chicago, città crogiuolo ricca ma densa di tensioni socio-razziali (la stessa dalla quale spiccò politicamente il volo Barack Obama) ma ha anche la cittadinanza peruviana, maturata in oltre vent’anni di missioni impervie nei luoghi più poveri e diseguali del subcontinente, nel pieno della guerra civile, tra Indios e contadini disperati e depredati dal turboliberismo di regimi corrotti.

L’esperienza sudamericana rende Prevost un pontefice capace di comprendere a fondo i meccanismi dello sfruttamento e assai sensibile alle ingiustizie socio-economiche. Uomo di azione, certo, capace di allestire cucine da campo e cavalcare sui sentieri andini. Ma con due lauree (matematica e teologia), una profonda conoscenza della filosofia e una recente ma robusta esperienza vaticana. Pratica e teoria, amalgamate da un’intrigante umanità. Prepariamoci: ho la sensazione che Leone cercherà davvero di cambiare (in meglio) il mondo.