Una fila di migranti senza volto, colti di spalle dal fotografo ufficiale. Sono in catene: grosse maglie d’acciaio temperato che strisciano fino a terra e li legano in vita l’uno all’altro. Il governo Usa parla di “guatemaltechi criminali” in via di espulsione. Il reato si sa qual è, essere entrati senza permesso nella terra dei sogni. Stupisce quanto ci siamo vaccinati in fretta all’esibizione dell’orrore. Non è giunta una sola voce di protesta dagli stati alleati di Washington, solo condiscendenza e perfino un po’ di invidia in quei governanti che vorrebbero fare lo stesso.
La lotta all’immigrazione irregolare consente ormai tutto: piani di deportazione, re-immigrazioni coatte, caccia all’uomo. Questi sudamericani incatenati ricordano gli schiavi neri in Django di Tarantino. O i prigionieri dell’Isis. La foto da dietro li disumanizza perché li priva della faccia e quindi di una biografia: non sono esseri umani ma parassiti. L’era della disintermediazione demolisce concetti come pietà e dignità, li declassifica al rango del politicamente corretto, dunque dell’ipocrisia.
Quei migranti sono numeri, fanno statistica. Come in un passato che pensavamo non potesse più tornare. E sono numeri anche quei puntini immortalati dall’alto di un drone nel cuore di Gaza: decine di migliaia di profughi in attesa di tornare nel nord della Striscia dove purtroppo li attende il niente, la distruzione più assoluta. E mentre aspettano di conoscere il loro destino, Donald Trump chiede di “svuotare e ripulire” quell’area. Come fossero insetti. Schiacciando macerie e uomini in un’unica poltiglia indistinta. Chissà dove arriverà questa nuova era che, in nome dell’efficacia e del consenso, toglie il pudore alle parole e il volto alle persone.