Nel grande caos mediorientale c’è adesso un’incognita in più: caduto il tiranno Assad, rifugiato in Russia dall’amico Putin, ci sarà un jihadista già affiliato di Al Qaeda e dell’Isis sul pulpito siriano? I biografi di Al Joulani sono scatenati nello sviscerare le diverse vite di questo combattente di origini saudite inginocchiatosi dopo molte battaglie sul prato della moschea Omayyadi di Damasco.
C’è una diffusa tendenza ad accreditare una sua svolta moderata, quasi da jihadista pentito, perfino da democratico tollerante nei confronti delle diverse etnie e religioni nel mosaico siriano. Ma è meglio non farsi ingannare dall’ennesimo travestimento del sempre uguale: la massa di barbuti che scorrazzano per Damasco coi kalashnikov in mano, sparando colpi in aria da pick up giapponesi impolverati dal deserto, sono gli islamisti di prima, passati da Al Qaeda ad Al Nusra a Isis per poi riciclarsi in questo nuovo gruppo denominato Hts, fondato da Al Joulani per mischiare di nuovo le carte dell’estremismo sunnita.
Non ci sono studenti, donne e professori nella piazza della capitale siriana, nessuna somiglianza con gli albori delle primavere arabe del 2011: solo barbe lunghe e tute mimetiche si aggirano nelle strade invocando Allah mentre la popolazione se ne sta rintanata dentro le case, cercando di leggere il futuro. Poche cose certe nella rivoluzione siriana: la fine di un regime orribile responsabile di almeno mezzo milione di morti, quello di Assad e della sua famiglia, appoggiato da Mosca e Teheran, responsabile dello sterminio di popolazioni civili inermi col gas, i barili bomba e un sistema di repressione capillare e atroce. La presa di potere dei fondamentalisti religiosi sunniti, riuniti in bande, discendenti di Bin Laden, Zarqawi e Al Baghdadi. Oggi si professano moderati, sono sostenuti dalla Turchia di Erdogan e dovranno pagare a lui un tributo: soffocare i curdi siriani e i loro esperimenti sociali laici. L’Iran è all’angolo, perciò in molti esultano. Ma siamo sicuri che i nuovi arrivati saranno meglio?