L’insostenibile leggerezza del carrello... C’è una nuova parola da mettere in cima alla lista della spesa, per fare acquisti in modo consapevole: si scrive shrinkflation, si traduce “sgrammatura” e si legge così: meno prodotto, stessa confezione, ma identico prezzo. Cerchiamo di capire cos’è. Sarà capitato anche a voi di avere quella sensazione di trovare meno biscotti nel solito pacchetto aperto a colazione, o di cucinare il classico pacco di pasta e trovarvi con porzioni ridotte nei piatti, o di contare 8 assorbenti nella confezione che usualmente ne custodiva 10. Ecco, non è una sensazione, è proprio così: tutta colpa della shrinkflation, (da shrinkage =contrazione e inflation = rincaro). Conseguenza: i nostri carrelli della spesa sono sempre più leggeri, ma non gli scontrini.

La riduzione di grammatura di un prodotto in commercio mantenendo lo stesso prezzo, è una pratica del tutto legale, ma che confonde i consumatori più distratti: “Il produttore è libero di scegliere il prezzo del bene che produce e di ridurne la quantità invece di aumentare il costo per risultare concorrenziale” spiega l’avvocato Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori, prima associazione di consumatori in Italia fondata nel 1955. “La scorrettezza nasce quando tali modifiche non sono segnalate adeguatamente: per esempio giocando sull’overpackaging, ossia esponendo confezioni non proporzionate alla quantità di prodotto contenuto. Se un produttore decide di vendere una bottiglietta di acqua da 450 ml e non da 500 ml è libero di farlo, ma se mantiene la vecchia bottiglia o usa stessa forma, colore, grafica, inganna più o meno consapevolmente l’acquirente”.

Non si tratta di una novità: nel 2017, l'Indipendent pubblicava un'analisi fatta dall’Istituto di statistica britannico che evidenziava come, all'alba dei primi negoziati Brexit, oltre 2.500 prodotti nel Regno Unito fossero stati interessati da una riduzione di peso o di dimensioni, con prezzo inalterato. Anche l'Istat ha fotografato modificazioni simili nel periodo dal 2012 al 2017, individuando più di 4 mila prodotti di 11 categorie merceologiche differenti. E, mal comune mezzo gaudio, non è il classico metodo all’italiana, ma un fenomeno globale: “Esiste da quando c’è la società dei consumi, relativo però a situazioni contingenti” prosegue Dona: “La shrinkflation storicamente si è rivelata necessaria in determinati momenti in cui un produttore ha subito un aumento improvviso dei costi, magari con il cambio di tassazione o iva su un certo tipo di prodotto. In tali casi, per non far transitare questi costi sul consumatore da un momento all’altro, si decide di ridurre il contenuto. Ipotesi: cambia la tassazione delle bevande zuccherate, invece di aumentare il prezzo finale si riduce la quantità venduta. Da un paio di anni a questa parte, invece, tale pratica non ha più i contorni di un contesto episodico, ma è diventata un modo di fare permanente di produttori e venditori”.

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Charles Gullung//Getty Images

Oggi, infatti, tra aumento dei costi della materie prime, inflazione, crisi energetica, carovita e l’ombra di una recessione, il fenomeno è tornato prepotentemente sugli scaffali dei supermercati. I social pullulano di segnalazioni, e l’hashtag #shrinkflation è già virale. Tanto che le varie associazioni di consumatori hanno alzato la bandierina rossa, rivolgendosi all’Antitrust che ha presentato esposti nelle 104 procure in Italia facendo partire una serie di verifiche sul fenomeno alla luce della possibile pratica commerciale scorretta.

Quel che è certo è che si apre un tema di fiducia, quella che dovrebbe intercorrere tra aziende e consumatori. L’avvocato Dona, attento divulgatore sulle tematiche di consumi e diritti, che sul suo profilo Instagram ha postato una carrellata di prodotti colpiti da questo svuotamento, sottolinea che non tutti i produttori sono in cattiva fede. “Con la nostra associazione abbiamo fatto un esposto all’autorità producendo ben 500 foto di prodotti sgrammati chiedendo di capire dove c’è l’inganno e dove no: prodotti del tutto identici nel packaging e nella forma, nel colore e nei testi, con l’indicazione della nuova quantità di prodotto ridotta scritta in minuscolo. Le conseguenze di questo comportamento non sono solo economiche (si paga lo stesso per avere di meno) ma anche ecologiche: riducendo il peso, in prospettiva e in proporzione ci saranno più imballaggi e rifiuti da smaltire. Da segnalare anche la “sgrammatura” nella somministrazione al dettaglio, ossia in bar e ristoranti dove, però, solitamente c’è più trasparenza: non è raro trovare cartelli o indicazioni nei menu che avvisano della riduzione delle quantità o dell’aumento di prezzo. Altro tema correlato è l’impoverimento della qualità: quando si legge sulle confezioni “nuova ricetta” o “versione light” non è detto che questi cambiamenti corrispondano a una maggiore qualità. Magari hanno solo tolto gli ingredienti più costosi… Tra le case history che ormai sono letteratura economica c’è il cioccolato Toblerone che per far fronte all’aumento del costo del cacao, ha tolto un dentino all’iconica barretta, con la giustificazione di aiutare il consumatore a ridurre l’assunzione di zuccheri. Idem per note bevande gasate che hanno ridotto i vari formati, adducendo indicazioni salutistiche. Invece, a fare scuola in positivo, il produttore dello yogurt greco FAGE che, di fronte a tante lamentele e contestazioni, ha ammesso di aver “sgrammato” il prodotto per venire incontro all’aumento dei costi, ma garantendo la stessa qualità augurandosi di mantenere la fedeltà dei clienti".

Questione di (food) marketing

Al netto delle verifiche caso per caso, occorre sottolineare che si tratta comunque di una pratica di food marketing assolutamente legale nel nostro Paese: “Le motivazioni che spingono le aziende a ridurre il contenuto venduto, senza cambiamenti nel prezzo sono varie” spiega la Prof.ssa Elena Castellari, docente del Dipartimento di Economia agro-alimentare dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. “In una contingenza come quella attuale, alcune aziende preferiscono posizionarsi nel mercato con una riduzione della quantità di prodotto al posto di un aumento del prezzo”. Non c’è nulla di illegale per sé, quindi, continua Castellari: “Non si deve dare per scontato che ci sia volontà di dolo nelle aziende che lo praticano, tanto più considerando che una pratica illecita porterebbe ad un danno d’immagine all’azienda. Il prodotto in sé è una delle leve di marketing e, ad esempio, quando si fa un riposizionamento del prodotto all’interno del mercato, si può agire modificando diversi aspetti: per esempio un cambio delle qualità organolettiche del prodotto, del packaging o delle porzioni. Nell’identificare dove agire si analizzano le evoluzioni socio-comportamentali del consumatore, la composizione del nucleo familiare, le diverse occasioni di consumo".

Un caso simile, ad esempio, è quello della pasta Barilla della gamma Al Bronzo venduta in confezioni da 400 g anziché nei consueti 500 g perché, come dichiara l’azienda: “I formati della nuova gamma si caratterizzano per l’elevata corposità e per la texture robusta, per tanto si consiglia di consumare 80 g per porzione”.

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Photo by Gabrielle Ribeiro on Unsplash

Ci sono anche risvolti positivi nella riduzione di grammatura, però, spiega Castellari: "Porzioni più piccole portano a minor spreco e ad una riduzione del sovra-consumo, come si osserva, ad esempio nelle mense dove, usando piatti meno capienti c’è una riduzione del sovra consumo dei prodotti e degli scarti. Sulla questione ecologica, poi, si apre un capitolo a parte: in tema di sostenibilità del packaging, le aziende sono fortemente spinte dall’Unione Europea a confezionare con materiali riciclabili o compostabili e i consumatori informati la considerano un elemento importante di scelta. In ogni caso, l’attenzione del consumatore finale è necessaria: l’abitudine ci porta ad acquistare gli stessi prodotti senza verificarne cambiamenti, ma è opportuno guardare il nostro carrello della spesa con un occhio più attento e valutare l’acquisto non tanto dal prezzo per confezione ma dal prezzo per kg, che generalmente viene esposto nelle etichette dei supermercati.”

Al supermercato giochiamo in difesa

Carrello alla mano, come ci si difende nelle corsie dei supermercati? Risponde Dona: “Guardando il pezzo al kg, non solo nei prodotti alimentari, il numero dei pezzi contenuti nelle singole scatole, e scegliendo di acquistare in base alla reale necessità di consumo. Davanti all’evidenza di una sgrammatura, premiate l’operatore più trasparente che dichiara l’aumento del prezzo o la riduzione del prodotto in modo corretto. E poi, aspettiamo che il legislatore faccia la sua parte: come presidente di UNC ho partecipato in Senato all’audizione sul disegno di legge Concorrenza, chiedendo una legge ad hoc: in Germania, ad esempio, è in vigore una legge soprannominata del “pacco onesto” che monitora e vieta un over packaging superiore al 30 per cento del contenuto. Ma basta anche meno per essere trasparenti: se la giustificazione di alcune aziende, come quelle che producono detersivi ad esempio, è di non buttare le scorte di confezioni già presenti in azienda adattandole al minor contenuto, magari basta aggiungere un’etichetta più evidente che indichi il cambio del peso”. L’obiettivo è che, nella spesa degli italiani, a ridursi sia lo scontrino, e non il carrello.

Quanto mi costi?

Secondo i dati Istat sull’inflazione di agosto 20022, i prezzi del cosiddetto “carrello della spesa” hanno registrato un aumento del +9,6 per cento, dato che non si osservava da giugno 1984, quando fu +9,7%. Come commenta lo studio Istat: “Sono l’energia elettrica e il gas mercato libero che producono l’accelerazione dei prezzi dei beni energetici non regolamentati (in parte mitigata dal rallentamento di quelli dei carburanti) e che, insieme con gli alimentari lavorati e i beni durevoli, spingono l’inflazione a un livello +8,4 per cento". Quali sono i beni che hanno subito un maggior rincaro? L'olio non di oliva (+63 %), burro (+33 %) farina (+23%), riso e pasta circa +22 per cento.

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