Si arruolano le giovani reclute russe in partenza per l’Ucraina. Si arruolano i ragazzi di Kiev che mai avevano tenuto un fucile in mano in vita loro. È la guerra. Evitiamo però di arruolarci anche noi giornalisti. L’aria è quella: si scorgono sempre più commentatori e cronisti con l’elmetto. Sappiamo bene chi sia l’aggressore. Si chiama Putin. Vuole sottomettere con le armi uno Stato democratico e sovrano. E a poco serve sottolineare le cause possibili di questo attacco. La Nato si è allargata troppo a est? Può darsi. L’Ucraina ha abdicato al suo storico ruolo di Stato cuscinetto costituendo una minaccia ai confini russi? Materia di dibattito. Ma nulla può giustificare in alcun modo la guerra di Mosca.
Detto questo, e consegnato agli studiosi il compito di ricostruire il retroterra storico del conflitto, a noi giornalisti resta quello di raccontare e di dar voce alle diverse idee. Non esiste infatti un solo modo di pensare l’uscita da questa guerra. C’è chi invoca un ruolo più attivo della Nato, chi pensa a una no fly zone sull’Ucraina (con enormi rischi di allargamento del conflitto su scala mondiale), chi invece critica la soluzione scelta dall’Ue: armare Kiev per resistere a oltranza.
Ecco, vorrei spendere due parole su chi, in questi giorni, invoca la pace e chiede che cessi il riarmo ucraino. Fra loro, nel movimento pacifista, vi sono alcuni intellettuali – penso alla filosofa Donatella di Cesare o al sociologo Alessandro Orsini – che, per il semplice fatto di aver espresso questa posizione sono stati bollati come “putiniani” e fiancheggiatori del nemico. È il vecchio vizio dell’informazione italiana: o di qua, o di là.
Gli opinionisti con l’elmetto in testa stilano pagelle, danno voti, distribuiscono patenti di democrazia. Assimilano i no vax ai sì Putin. Ecco, fatevelo dire da chi, come il sottoscritto, è strenuamente sì vax e giudica Putin un criminale di guerra: quale sia la via d’uscita di questo conflitto nessuno lo sa. Ma certo non spetta all’informazione restringere il campo del dibattito. Anzi. Chi guarda un talk show o legge un giornale, chiede di capire, non vuole imbracciare fucili. Siamo giornalisti, non generali.