"Per capire Milano bisogna tuffarvisi dentro. Tuffarvisi, non guardarla come un’opera d'arte" scriveva il giornalista Guido Piovene, che come inviato per i quotidiani ne aveva conosciute tante di città. E in effetti la Milano più affascinante è proprio quella segreta, che si svela agli occhi di chi sceglie di percorrerla a piedi, al di fuori degli itinerari tradizionali. Quella dei palazzi d'epoca, dei giardini nascosti, dei cortili delle case di ringhiera, delle chiese sconsacrate incastonate tra gli edifici. È qui che continua a vivere lo spirito di questa città, di cui persino Stendhal riuscì a innamorarsi, decidendo di portarne il ricordo persino sulla sua lapide a Montmartre, dove fece incidere "Arrigo Beyle [questo era il suo vero nome], milanese".
Al centro di tutte le grandi trasformazioni sociali, politiche ed economiche italiane, Milano è passata dall'essere capitale del miracolo economico a diventare cuore pulsante della finanza, della televisione, della pubblicità, della moda, del design e dell'editoria. Una parabola in continua ascesa di cui dà conto anche il New York Times, che nella guida alle architetture da vedere a Milano sul T Magazine indica un posto, fra i tanti, che nessuno conosce. Dopo averla ricordata come una delle città "più grandi e influenti d'Italia", il giornale elenca tutte le sue principali attrazioni architettoniche, che l'hanno resa famosa nei secoli. Dal Duomo, il cui cantiere fu avviato alla fine del XIV secolo da Gian Galeazzo Visconti, alla Galleria Vittorio Emanuele II, progettata dall'architetto Giuseppe Mengoni in stile neorinascimentale, con imponenti ingressi ad arco, pilastri riccamente intagliati e una grande cupola di vetro al centro, passando per il Castello Sforzesco, Villa Necchi Campiglio, progettata negli anni Trenta dall'architetto Piero Portaluppi, e la Torre Velasca, sono tanti gli edifici che nei secoli hanno fatto grande Milano. Insieme a Fondazione Prada, il Bosco Verticale e Villa Borsani, situata a Varedo.
Ma fra tutti c'è un luogo che è decisamente fuori dagli itinerari turistici, ma che invece meriterebbe una visita. Si tratta della Chiesa di Santa Maria dell'Annunciata, che il visionario architetto Gio Ponti fece costruire tra il 1964 e il 1969 come luogo di conforto per i visitatori e i pazienti dell'adiacente Ospedale San Carlo Borromeo, da cui la chiesa prese il nome originario. Accessibile sia dal braccio ovest del complesso ospedaliero sia autonomamente da via San Giusto, l'edificio si sviluppa a partire da una pianta a losanga, è servito da due diversi ingressi ed è servito da due ingressi, preceduti da scalinate che inquadrano i portali, composti da quattro fornici sormontati da timpani triangolari, mentre al fronte posteriore sono addossate anche quattro cappelle esagonali. Le forme geometriche sono ricorrenti, così come quelle del diamante, che si ritrovano siano nelle finestre che nel rivestimento in piastrelle della facciata. Il tetto a falde è invece interamente rivestito da grandi lastre di rame e viene retto da un sistema di capriate in cemento grezzo che poggia sui ventidue pilastri.
Le pareti interne intonacate di bianco rendono l'edificio leggero, grazie anche all'abbondante illuminazione che penetra sia dalla grande vetrata policroma, disegnata da Ponti e Zuccheri sopra il portale a nord e realizzata dalla Venini di Murano, sia dalle numerose feritoie del fronte sud, schermate all'interno da una serie di tavole in quercia — opera di padre Costantino Ruggeri — su cui sono raffigurati i Santi Ospedalieri. Per utilizzare le parole dello stesso designer, l'edificio venne progettato come "un vascello-arca dove si possono incontrare l'uomo e Dio". "Se la civiltà, divenuta cristiana conoscenza, esige per corrispondere ad una 'vera società umana' la presenza di un tempio, figuriamoci se essa non la esige accanto ad un ospedale, dove l'umanità è al sacro cospetto del suo destino di dolore, di vita e di morte, e la speranza cerca conforto nel mistero, e così la rassegnazione — scriveva Gio Ponti a proposito del suo progetto modernista —. È in questo pensiero che, con impari forza ma con timorosa speranza, io ho disegnato il tempio per l'Ospedale San Carlo Borromeo".