C’è una parola che fa rumore anche quando resta in silenzio. L’odio non sempre si manifesta apertamente, ma abita nei gesti trattenuti, nei corpi irrigiditi, negli sguardi che si fingono indifferenti.
Non si indossa con facilità, eppure tuttə — almeno una volta — abbiamo sentito quella fitta dentro: un misto di rabbia, dolore, frustrazione. Una reazione che spesso ci imbarazza, perché è socialmente scomoda. Eppure è lì, reale.

Ha mille forme e nessuna è educata. Ma dietro la sua faccia spigolosa, l’odio è anche un segnale: di una ferita non guarita, di una delusione taciuta, di una parola che non è arrivata. Capirlo, senza giustificarlo. Riconoscerlo, senza negarlo. Parlarne, oggi, è un gesto necessario.



Definizione di odio

Definire l’odio non è così semplice come sembra. Non si tratta solo di un’emozione, ma un insieme complesso di stati mentali, reazioni corporee e rappresentazioni cognitive. In psicologia, si considera un’emozione secondaria, cioè il risultato di processi più elaborati rispetto alle emozioni primarie come la paura o la gioia. Si può odiare per paura, per vergogna, per sentirsi traditi o spinti all’estremo. Ma che cos’è l’odio, esattamente?

È un atteggiamento di rifiuto intenso verso una persona, un gruppo o un’idea, percepiti come minacciosi o distruttivi per il proprio equilibrio. Il significato dell’odio e di odiare si chiarisce meglio quando si considera che spesso nasce dalla sensazione di essere stati profondamente violati. In ambito clinico, si parla del significato psicologico dell’odio come di un’energia potente, difficile da regolare, ma non necessariamente patologica. Insomma è molto più di una reazione impulsiva intrinsecamente negativa: è un sistema complesso di difesa e attacco.

De odio

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Come si manifesta l'odio?

L’odio può essere silenzioso o esplosivo, ma raramente passa inosservato al corpo. Si può manifestare con tensione muscolare, tachicardia, aumento della pressione, sudorazione improvvisa. A livello comportamentale, è spesso legato a reazioni di evitamento, sarcasmo tagliente, chiusura comunicativa, o in alcuni casi a veri e propri atti di aggressività verbale. Anche il linguaggio del corpo cambia: sguardi fissi, mascella serrata, distanza fisica marcata. Non sempre chi manifesta odio alza la voce: a volte è l’assenza di parole, o uno sguardo trattenuto troppo a lungo, a dire tutto. Chi odia le persone tende a costruire barriere, spesso per proteggersi prima ancora che per attaccare. Non si tratta necessariamente di persone violente: è più frequente incontrare individui che covano l’odio sotto forma di ostilità latente, difficilmente riconoscibile a prima vista.

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Quando e perché emerge

L’odio non si accende dal nulla, né scatta sempre in modo consapevole. Spesso nasce da un accumulo di esperienze emotive mal digerite: frustrazioni, ingiustizie percepite, esclusioni sociali, traumi non elaborati. È una reazione che si struttura nel tempo, e che può diventare stabile se alimentata da silenzi, trascuratezza o svalutazione. In ambito familiare, per esempio, ci si chiede perché un figlio odia la madre: una dinamica che, quando si verifica, quasi mai riguarda prettamente la “madre” in senso assoluto, ma piuttosto un vissuto di abbandono emotivo o aspettative frustrate.

Cosa si nasconde dietro l’odio? Una ferita, quasi sempre. Un bisogno negato, un dolore non ascoltato, un’identità minacciata, un tradimento della fiducia prima di quel momento ferrea. Odiare, allora, può essere il modo più rudimentale – ma anche più potente – per proteggersi da ciò che ha fatto tanto, troppo male.

Effetti positivi e negativi

Nonostante la pessima reputazione, l’odio ha anche una funzione positiva: può spingere a stabilire confini, rompere legami tossici, reagire a situazioni ingiuste. In alcuni casi estremi, è proprio l’odio a permettere a una persona di prendere le distanze da ciò che l’ha ferita. Detto questo, gli effetti negativi sono numerosi e spesso silenziosi: isolamento, irrigidimento emotivo, relazioni compromesse, stress cronico.

Quando poi l’odio si struttura in forma stabile e collettiva, si trasforma in ideologia: qui troviamo l’origine del sessismo, dell’omofobia, del razzismo. Alcuni (cattivi) esempi? Chi odia le donne viene definito misogino, mentre chi odia gli uomini è chiamato misandro. Questi termini indicano realtà sociali complesse, che vanno oltre il singolo caso, segnando un passaggio dall’emozione personale a un fenomeno culturale, talvolta pericoloso e mai positivo.

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Strategie per riconoscerlo e gestirlo

Riconoscere l’odio non significa accettarlo, ma imparare a osservarlo senza farsi travolgere. Il primo passo è accorgersi di come si manifesta: quando il pensiero torna sempre alla stessa persona, quando il rancore diventa il sottofondo costante delle giornate, o quando il corpo si irrigidisce solo al pensiero di una determinata situazione. A quel punto, chiedersi come superare l’odio per una persona diventa un atto di cura, non di debolezza. Le strategie non sono universali: c’è chi lavora su sé stesso con la scrittura, con la cultura, chi con lo sport, chi con la terapia. Quando l’odio inizia a interferire con la tua quotidianità o con la tua salute, parlarne con un professionista non è un segno di fallimento, ma un segno di lucidità. Perché certe emozioni, se lasciate a sé stesse, diventano gabbie invisibili e insuperabili.

Curiosità scientifiche

L’odio ha una sua geografia nel cervello. Secondo uno studio condotto al Wellcome Laboratory of Neurobiology dell’University College di Londra, provare odio attiva regioni simili a quelle dell’amore, tra cui il putamen e l’insula. Questo spiegherebbe perché entrambe le emozioni possano coesistere, soprattutto nelle relazioni affettive intense. Al tempo stesso, però, l’odio coinvolge aree legate all’aggressività e al giudizio: non è un’emozione cieca, come si tende a pensare, ma può essere sorprendentemente “razionale”. Altra curiosità: a differenza della rabbia, che tende a esplodere e poi svanire, l’odio può durare anni, persino una vita, perché si struttura attorno a narrazioni personali, identità e memorie. Infine, in ambito evolutivo, l’odio ha avuto una funzione adattiva: proteggere il gruppo da ciò che era percepito come minaccia. Oggi, però, saper distinguere ciò che protegge da ciò che blocca è necessario per vivere una vita davvero appagante.

Articolo scritto da collaboratori esterni, per info e collaborazioni rivolgersi alla redazione

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