Sul grande schermo, le pellicole che raccontano come le donne affrontano la fine di una storia d’amore sono tante. In Mangia, Prega, Ama la protagonista (Julia Roberts), solo dopo essersi separata dal marito, trova finalmente l’amore per sé stessa e capisce finalmente cosa significhi realmente stare bene ed essere in perfetto equilibrio con la propria anima. Brooke e Gary (Jennifer Aniston e Vince Vaughn) di Ti odio, Ti lascio, Ti… dopo la sofferenza iniziale, affrontano la rottura a colpi di ripicche e vendette, mentre Alice (Dakota Johnson nel film Single, ma non troppo), in pausa di riflessione dal compagno, per capire se sia pronta a impegnarsi veramente decide di provare “nuove” esperienze. Insomma, le reazioni post separazione possono essere diverse. C’è chi si strugge, chi mostra risentimento, chi si sente addirittura sollevato. Ma tutti, prima o poi, vogliono tornare ad amare. Ora, una domanda sorge spontanea: esiste un tempo “giusto” per iniziare una nuova relazione dopo la fine di un rapporto? Meglio la regola del “chiodo scaccia chiodo”, o “diamo tempo al tempo”?
“Quando finisce un amore c’è chi si butta subito (o cerca) una nuova forma di occupazione che sia sessuale, sensuale, emotiva, relazionale, cognitiva; chi prende tempo attivamente per capire cos’è accaduto e chi invece si ferma passivamente per poi, ripartire con calma. Le reazioni individuali alla chiusura di una relazione dipendono dalle strategie di coping, ossia da come viene affrontato il problema. Ci sono strategie incentrate sull’occupazione, ovvero quando ci si butta a capofitto su altro per non pensare. Che sia lavoro, sport o un’altra persona poco cambia. Si tratta di un metodo che prevede di distrarsi, occupare la mente e concentrarsi su qualcosa che possa fornirci dei feedback positivi e lenitivi. Strategie basate sulle emozioni il cui obiettivo è ridurre il disagio o lo stress emotivo. Si esce con gli amici, ci si convince di aver avuto responsabilità importanti in quanto accaduto, ci si dice che 'tutto sommato è meglio così'. L’obiettivo è quello di alleviare la nostra sofferenza. Infine strategie focalizzate sul problema, che si attivano quando ci si prende il tempo necessario per affrontare le cause alla base della fine della relazione. L’obiettivo è quello di 'crescere', di comprendere cosa non ha funzionato e di apprendere nuove abilità utili in futuro”, spiega Sara Guerra, psicologa e sessuologa.
L’importanza di elaborare i motivi della separazione
“Quando una relazione finisce, è fondamentale fare un bilancio per capire quali sono le ragioni per cui si desidera iniziare una nuova storia o meno. Occorre capire nuovamente chi siamo, cosa vogliamo e dove stiamo andando. L’aiuto di uno psicologo può essere determinante può facilitare la rielaborazione emotiva e cognitiva di quanto è avvenuto e aiutare a comprendere quali strategie proattive si potranno utilizzare in futuro. Se non si comprende cosa non ha funzionato sarà più difficile chiudere mentalmente la relazione e quindi potersi aprire a nuove, eventuali, possibilità. Ecco perché, se si vuole 'sfruttare' il tempo trascorso con la persona che non è più accanto a noi per la propria crescita personale, diventa fondamentale elaborare i motivi della separazione”, commenta la sessuologa.
La riflessione terapeutica come mezzo per elaborare
Il tempo dell’elaborazione e della riflessione sono sacri. “Le emozioni hanno bisogno di tempo per fluire, evolvere e lasciarci. Con esse anche i pensieri devono avere il tempo per essere rimessi in ordine e assimilati. Se ci si immerge subito in una nuova relazione il rischio è che non si sia elaborata a sufficienza quella precedente e che quindi non si sia capito cos’è accaduto e come mai ci siamo ritrovati con una storia conclusa”, prosegue la dottoressa Guerra.
Il processo di riparazione
“In alcuni di noi la fine di una relazione può innescare un meccanismo di autodifesa.
Abbiamo subito un’ingiustizia e la rabbia si allea alla paura di una nuova sofferenza emotiva e così ci 'chiudiamo' (attenzione perché con 'chiusura' si intende qui come chiusura emotiva o romantica, non necessariamente anche sensuale o sessuale). Questo sentimento di autodifesa per un certo periodo di tempo ci impedirà di riaprire il cuore ai sentimenti. Ci accorgiamo che il processo di riparazione inizia quando gli altri ci fanno notare che 'qualcosa è cambiato' in noi, parliamo di più del futuro che del passato, e siamo è più propensi ad aprirci alle novità, più propositivi. Ma anche quando l’idea di fare nuove conoscenze ci fa meno paura e siamo via via più attenti ad apparire attraenti mostrandoci curati, disponibili e fiduciosi nel prossimo e soprattutto in noi stessi. Essere pronti a una nuova relazione significa che si ha nuovamente voglia di esprimersi e di sperimentarsi, non perché gli altri sono tutti fidanzati, o per gelosia, rivincita o per paura di restare single. Quando siamo pronti abbiamo concluso una parte del nostro percorso di autoconsapevolezza e quindi ci sentiamo “diversi”, con competenze, conoscenze e risorse maggiori”, spiega la psicologa.
Cosa (non) cercare in una nuova relazione
“A volte il passato non riesce a lasciarci e ci portiamo nelle nuove relazioni ombre e fantasmi. Spesso si tratta di nostre insicurezze che ci tormentano e che ci indicano che non siamo ancora completamente pronti per una nuova relazione, se prima non abbiamo sviluppato autoconsapevolezza e fiducia in noi stessi. Avere aspettative irrealistiche (bisognerebbe invece avere speranze!); volere tutto e subito, bisogna dare tempo al tempo senza bruciare le tappe o pretendere tutto e subito; fare paragoni con gli ex (un grande classico che però vale la pena far tramontare) sono gli errori più comuni che ci ricordano che dobbiamo ancora lavorare su noi stessi. Pretendere prove d’amore, invece, è il 'sintomo' più evidente che non siamo sicuri di noi stessi. Imparare a stare in equilibrio da soli, è il solo mezzo per poter stare bene con gli altri”, conclude la dottoressa Guerra.