La stanza di terapia è uno spazio privato, personale e riservato in cui chiedere appoggio, tempo, cambiamento. Per questo, e per molte altre ragioni, non tutti comunicano la propria richiesta di aiuto all’esterno, preferendo mantenere l’informazione per sé. Ma quando si decide di comunicare al partner che è in corso una terapia, conta solo una cosa: cosa sto comunicando davvero.
Come comunicare al partner che si segue un percorso di terapia
Anche se non dovrebbe trattarsi di una vera e propria rivelazione, perché si suppone che per chi ci è vicino la nostra salute non sia un mistero, noi non viviamo situazioni perfette, e non sempre gli altri sanno davvero “a che punto siamo”. Non si tratta nemmeno – non si dovrebbe trattare – di una richiesta di permesso, di un via libera, ma al contrario del manifestare la propria volontà un momento di difficoltà, nel quale abbiamo sapientemente scelto di farci aiutare.
Vorremmo sentirci incoraggiati e validati. Vorremo sentirlo sempre, e in particolare se abbiamo veri e propri sintomi (come un attacco di panico), viviamo un momento difficile (come una separazione o un lutto) o se ci accingiamo a mettere mano ad aspetti del nostro carattere che non sopportiamo più e vorremmo modulare (come il perfezionismo o la diffidenza verso tutti). Ma a volte ciò che ci preoccupa e ci fa sentire in ansia non riguarda solo noi, a volte coinvolge anche gli altri, come nel caso di dubbi sulle scelte future oppure la scarsa soddisfazione di coppia.
È quindi possibile che quando diciamo “vado in terapia” stiamo raccontando, chiedendo, anche altro. Stiamo cercando aiuto e sostegno? Vogliamo spiegare i nostri cambiamenti? Giustifichiamo il bisogno di tempo e risorse per sé? Vogliamo solo condividere una parte di noi con la persona che amiamo? Non vogliamo più celare una scelta? Quando diciamo al partner che abbiamo iniziato un percorso di terapia, diciamo anche un po' “guarda che sto soffrendo”, “sono pronto a spiegare delle cose”, “ho bisogno di una mano” magari sperando inconsapevolmente che l’altro finalmente capisca. Si possono anche sperimentare sentimenti ambivalenti: il desiderio di condividere un passo per sé importante, ma anche vergogna guidata da pensieri pessimistici del tipo “è la conferma che qualcosa no va in me” “sono fragile” “dovrei piuttosto farcela da solo”. La reazione del partner può quindi rassicurarci o essere percepita come una temuta conferma di ciò che ci spaventa.
Perché non dobbiamo giustificarci
Non c’è nulla di cui giustificarsi se ad un certo punto della nostra vita desideriamo dialogare con un professionista a proposito di come ci sentiamo e della nostra serenità mentale, ma se ci sentiamo a nostro agio possiamo aggiungere delle informazioni. Quelle che vogliamo. Il partner potrebbe comunque essere sorpreso o impensierito, e per questo arrivare a porre domande con poco tatto o sentirsi in colpa per non aver capito. Potrebbe anche avere molte domande: da quando stai andando? Da quanto tempo ti senti così? Ti è di aiuto? A chi ti sei rivolto?
È possibile che il partner voglia essere concretamente d’aiuto o voglia sapere cosa aspettarsi. Il partner potrebbe poi, anche con le migliori intenzioni, cercare di aiutare fornendo consigli, nominativi, proponendo altre soluzioni. Se si sente coinvolto direttamente, ad esempio quando è in corso una crisi di coppia, il partner potrebbe anche chiedere di essere coinvolto in prima persona nella terapia.
Concediamoci il tempo di reagire
Se ci sentiamo sopraffatti dalle richieste o dai commenti, possiamo mettere un attimo in pausa la conversazione riprendendola più tardi, dando entrambi la possibilità di fermarsi un attimo a pensare, senza l’urgenza di dover decidere qui e ora. Non dovremmo certo trovarci nella situazione di dover gestire reazioni particolari – di allarme, reazioni critiche o di gelosia – ma piuttosto può essere utile osservare la reazione del partner in un momento nostro di vulnerabilità. Se invece sarai assalito da commenti critici ricorda che prendersi cura della propria salute mentale è una scelta saggia e non sei tenuto a giustificarti, discolparti, scusarti.
La profondità delle informazioni che siamo disposti a condividere sarà relazionata a quanto ci sentiremo capiti, a quanto vogliamo sentirci liberi, ma anche alla quantità di imbarazzo, confusione o timore che proviamo di venir giudicati. È inoltre possibile che non sia chiaro quale sia il problema nemmeno a noi stessi quindi non avremo granché da dire o prontezza nel confidarci.
In un momento di svelamento del proprio malessere e di ricerca di un aiuto professionale vorremmo solo trovare comprensione, appoggio e disponibilità. Anche dopo gli incontri con il proprio terapeuta, alcune persone amano condividere i loro pensieri ed altre tenere i contenuti per sé, in ogni caso trovando accettazione ed eventualmente ascolto. Capire cosa realmente stiamo dicendo e perché, quando diciamo “vado da uno psicologo”, ci aiuterà a capire cosa raccontare, a chi e in che modo.