Dimenticate quello che sapete sui cuochi e sulle cucine. Cancellate dalla testa i ricordi sui programmi televisivi, con giudici che urlano e concorrenti stressati che corrono da destra a sinistra per completare la prova a tempo. Oggi proviamo ad approcciarci al cibo e alla cucina con occhi nuovi, con uno sguardo multidisciplinare e, soprattutto, con grande rispetto. “La cucina è un macro tema - dice Ester Azzola, e lo fa con il tono di chi ha qualcosa di importante da ricordarci - oltre al fare ci sono le persone che risuonano con noi e con ciò in cui crediamo. Certo, ci vuole anche tecnica, ma la si impara facendo e guardando. I buoni maestri, però, ti insegnano a fare le domande giuste, perché senza idee e domande la cucina non è nulla”.

Quella di Ester e del suo rapporto con il cibo, che mangia, che cucina e offre, è una storia che attraversa i continenti e che ci sfida a ritrovare una connessione sincera con le pietanze che mettiamo nel piatto. Facciamo indigestione del mondo con la vista e con il tatto, dimenticandoci che è attraverso la bocca che passa il nostro rapporto intimo con ciò che mangiamo. È staccandoci dal seno e addentando una forchetta che ha inizio la nostra esplorazione, ed è passeggiando tra mercati colorati e provando nuovi sapori che sentiamo di entrare in sintonia con le terre che ci accolgono. Oggi Ester è impegnata a creare e sperimentare nella cucina di El Galactico Raw in Porta Venezia, a Milano, e ci racconta come ritrovare in tavola il piacere della scoperta.

a spread of sliced bread with various toppings on marble and paper surfaces surrounded by flowers and soilpinterest
Laura Baiardini

Parlaci della tua formazione: da biologa nutrizionista specializzata in neuroscienze a chef, come è avvenuto questo cambiamento?

Mi sono laureata in biologia, poi ho fatto la specialistica in nutrizione, e durante gli ultimi mesi di studio mi sono trasferita in Argentina, dove ho lavorato a una tesi sperimentale sui significati alimentari nei contesti con vulnerabilità economica. È stata un’esperienza incredibile. Sono rimasta lì per altri 10 anni e ho iniziato una serie di progetti: ricercatrice nutrizionista nella fascia pediatrica e consulente per progetti alimentari nel Sud del Mondo. Nel frattempo, portavo avanti anche un lavoro in ambulatorio, però sentivo che c’era qualcosa che non andava, che non mi rendeva felice. Le persone si rivolgono alla nutrizionista quando c’è un problema, oppure nel migliore dei casi lo fanno perché desiderano migliorare la performance sportiva. Per me mangiare è un’esperienza di grande gioia e convivialismo, racchiuderla all’ambito clinico iniziava a darmi frustrazione.

Poi arriva il Covid, e stravolge anche la tua vita. Torni in Italia.

Torno in Italia e vado a lavorare come lavapiatti a Ex Dogana, il ristorante di famiglia, ogni tanto do una mano in cucina e aiuto nella gestione degli eventi. E lì succede qualcosa di nuovo, per la prima volta, sento che posso mettere in un piatto tutto quello che ho studiato sui libri. La nutrizione è un tema trasversale nella nostra esistenza: nel cibo c’è politica, antropologia, ci sono culture, c’è l'ecologia e ovviamente anche la biologia. Sento che posso unire tutti i miei interessi e portarli in cucina.

Nei tuoi piatti proponi un insieme di cucine diverse

Sì, posso dire che è il mio stile. Cerco sempre di integrare nei miei piatti le persone che ho conosciuto e le esperienze che ho vissuto. Ogni volta che propongo qualcosa, un piatto, un menù, che non appartiene alla nostra cultura, cerco prima di viverlo in prima persona. Provo sempre ad approcciarmi ad altre culture con molta umiltà. Studio, mi informo, parlo con le persone che ne sono le dirette portatrici e provo anche io a diventarne portavoce. Sicuramente nei miei piatti c’è l’Argentina, ma non solo quella, non solo le sue storie. Penso che sia il più grande tributo a cui possiamo aspirare, fare qualcosa con le nostre mani che venga da un insieme di tantissime storie. Non penso mai a voler rendere la mia cucina esotica, penso solo a lavorare con grande rispetto.

ester azzolapinterest
Nicoletta Biacchi

Guardando le tue creazioni, i dolci sono forse i piatti che saltano più all’occhio, c’è dietro una ragione estetica?

È un’estetica che non è molto di moda, ma anche in questo caso è un’estetica spontanea, del convivio. Mi interessa sempre che le persone possano riconoscere la libertà espressiva dell’alimento. Non mi piace la progettazione macchinosa, portare gli ingredienti lontano dalla loro forma originale, dai colori e dalle caratteristiche che indicano il loro deperimento, il passare del tempo. Prendiamo una carota, ad esempio, la meraviglia sta in quello che è, con le sue forme irregolari, naturali, i suoi colori e il significato di ogni sua struttura (questo amore lo devo al mio passato da biologa, ride). La stessa cosa succede con le preparazioni: oltre al gusto, che è fondamentale chiaramente, quando arriva il momento di cucinare sono sempre più interessata ai significati che gli alimenti portano con sé, alle loro storie.

Quali sono i prossimi progetti?

Per il futuro sicuramente c’è l'idea di creare o abitare nuovi spazi di convivio e di benessere con altri professionisti, non necessariamente legati alla cucina, che però vogliano creare questi habitat intorno ai quali si possano scambiare pratiche, momenti. E tante idee.

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