Ricorrere alla crema solare dovrebbe essere un’abitudine regolare, anche quando è nuvoloso, così da proteggere la pelle da possibili danni o tumori. Tuttavia, decidere per quale crema solare optare potrebbe richiedere una certa ricerca. Anche con tutti i consigli che abbiamo a portata di mano, il processo di scelta risulta abbastanza complesso e variegato. Oltre alle caratteristiche universali come l'ampio spettro (protegge dai raggi UVA e UVB), l'impermeabilità (fino a 40 o 80 minuti) e la classificazione SPF (almeno SPF 30, per favore!), non mancano altri criteri da dover prendere in considerazione.

Le dichiarazioni “Reef-safe” o “reef-friendly”, per esempio, sono spuntate sia sui marchi di massa che sui brand indipendenti. Queste indicazioni implicano che gli attivi utilizzati in quel particolare prodotto sono migliori per il benessere delle barriere coralline e di altre forme di vita acquatica nell’acqua. Eppure, l’espressione è alquanto complicata, sia per ciò che implica, sia per le modalità di regolamentazione. Capiamo perché.

Da dove nasce l'esigenza di una protezione solare sicura per l’oceano?

Nel 2018 le Hawaii hanno approvato una legge che vieta i prodotti solari contenenti ossibenzone e/o ottinoxato. Questo divieto è arrivato a seguito di una ricerca del Laboratorio Ambientale Haereticus in Virginia che suggeriva che l'ossibenzone (noto anche come benzofenone-3) e l'octinoxato potevano rallentare la crescita di una specie di corallo e dimostrava che l'ossibenzone era tossico anche per altre sei specie di corallo nei test di laboratorio.

Sebbene non tutti gli scienziati concordino sul fatto che gli effetti delle creme solari siano l'effetto dominante dei danni alla barriera corallina, il mercato ha visto l'afflusso di prodotti solari che dichiarano di essere “sicuri". La maggior parte delle formule “Reef-safe” o “reef/ocean-friendly” presenti sul mercato utilizza gli attivi solari minerali ossido di zinco e biossido di titanio e ha eliminato non solo i due attivi solari chimici vietati alle Hawaii, ma anche tutti i filtri UV chimici approvati dalla FDA (l'ente governativo statunitense che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici).

Perché scegliere questi prodotti?

La recente enfasi sulle suddette creme solari è dovuta ai sempre più ingenti danni riscontrati nelle barriere coralline (le cosiddette foreste pluviali del mare), costituite da calcare depositato dai polipi di corallo nel corso di migliaia di anni. I cambiamenti delle condizioni ambientali, come la temperatura, la luce o i nutrienti, possono infatti stressare le barriere coralline, portandole a espellere le loro alghe colorate e a diventare bianche. Se lo stress persiste, però, può portare alla morte del corallo e interrompere l'ecosistema che dipende da esso.

Perché è importante optare per prodotti “reef-friendly”? “Le barriere coralline rappresentano meno dello 0,15% dell'oceano, ma ospitano più del 25% di tutte le specie marine, tra cui migliaia di pesci e piante”, ha dichiarato la dott.ssa Nicole Crane, biologa marina e direttrice esecutiva del One People One Reef Project.

“I coralli sono in crisi a livello globale a causa, in parte, di fattori naturali come malattie, predatori, tempeste, inquinamento industriale e pratiche di pesca non sostenibili, uniti all'aumento delle temperature oceaniche e alla maggiore acidificazione degli oceani dovuta ai cambiamenti climatici. Queste strutture coralline sono molto preziose perché crescono molto lentamente - i tassi possono variare da 0,3 cm/anno a 10 cm/anno - e proteggono le coste dalle tempeste e dall'erosione. Inoltre, grazie alla pesca, alle immersioni e allo snorkeling, le barriere coralline aggiungono centinaia di milioni di dollari alle economie locali di tutto il mondo. Ecco perché gli scienziati stanno studiando quanto altri fattori, come i filtri solari, giochino un ruolo nel loro declino”.

Quale ingrediente della crema solare è dannoso per le barriere coralline?

“A dire il vero, non si ha una risposta certa. Le prove relative ai diversi filtri sono così incomplete che non possiamo identificare con certezza né i ‘cattivi attori’ né gli ‘attori sicuri’", afferma Mark Cullen, direttore dello Stanford Center for Population Health Science, che ha recentemente analizzato i principi attivi delle creme solari in un rapporto di 400 pagine.

Questo il risultato principale: “Ci sono lacune nei dati per decidere quali principi attivi, se esistono, rappresentano un rischio effettivo per l'ambiente marino. Per questo motivo, il comitato vorrebbe che l'Agenzia per la Protezione dell'Ambiente (EPA), l'ente normativo federale che ha finanziato gli sforzi della NAA, conducesse una valutazione del rischio ecologico (ERA) per tutti i filtri UV attualmente in commercio, sia quelli chimici (che assorbono i raggi UV) che quelli minerali/fisici (che bloccano i raggi UV), e per tutti i nuovi filtri che saranno disponibili”.

Quindi, l'acquisto di creme solari “sicure per la barriera corallina” è davvero importante?

Gli esperti concordano sul fatto che la scienza della comprensione dei danni provocati dalle creme solari, o comunque da qualsiasi altra sostanza chimica, è ancora molto giovane. Secondo il professor Carys Mitchelmore, “non esistono standard per le metodologie di test, per dove e quando prelevare campioni nell'ambiente e per quali specie utilizzare come modelli in laboratorio”.

“Nonostante le buone intenzioni, vari termini come ‘reef-safe’ non hanno un significato ben definito, ufficiale o, francamente, chiaro”, afferma il Dr. Cullen. “Espressioni come ‘reef-safe’ attualmente servono più per il marketing che per informare che un prodotto ha dimostrato di essere più sicuro per le barriere coralline”.

Nel 2022, per esempio, è stata infatti intentata una causa collettiva contro il marchio australiano di creme solari Bondi Sands per l'uso di false affermazioni pubblicitarie “amiche della barriera corallina”. Sebbene la formulazione del marchio non contenesse ossibenzone o ottinoxato, conteva però altri filtri solari chimici approvati dalla FDA, ovvero avobenzone, omosalato, ottisalato e octorilene.

Tuttavia, con o senza basi scientifiche, molti produttori hanno eliminato gradualmente i due principi attivi chimici vietati alle Hawaii (ossibenzone e ottinoxato) dalle formule di protezione solare. Se da un lato questo potrebbe alleviare la confusione dei consumatori nel momento in cui decidono di acquistare o di fare le valigie per un viaggio alle Hawaii, dall'altro non ha rallentato la frenesia del marketing per le “creme solari sicure per la barriera corallina”, né le polemiche intorno ad esse.

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Articolo tradotto da collaboratori esterni, per info e collaborazioni rivolgersi alla redazione